«Oggi mi sento un africano, un congolese e un cittadino italiano che rispetta le regole di questo Paese e dà il proprio contributo», dice Ghislain Muteteri, 45 anni, originario di Goma (Repubblica Democratica del Congo), operatore al Refettorio Ambrosiano, la mensa solidale aperta da Caritas Ambrosiana, nel quartiere di Greco a Milano. Coi i suoi titoli (due lauree e un master presso l’Istituto per gli studi di politica internazionale) e le sue competenze linguistiche (ne parla sette) Ghislain potrebbe essere almeno il responsabile di progetto in una grande Ong. «Mi è andata meglio – sottolinea -. Alla mensa viene gente da tutto il mondo. Mi occupo dei loro problemi stando a pochi chilometri da dove vivo con mia moglie e i miei quattro figli. Mi sta benissimo così. Mi sento realizzato, ho un stipendio che non mi arricchisce ma mi permette di non far mancare nulla a me e alla mia famiglia e, in più, so di essere utile agli altri».
A Milano Ghislain è arrivato il 6 dicembre del 2006, chiamato da Giusy, giornalista italiana che aveva conosciuto e sposato in Congo. Ma vincere i pregiudizi, farsi conoscere e apprezzare nel nostro Paese non è stato semplice. Il primo passo è stato imparare l’italiano. Una full immersion di tre mesi al centro di formazione per adulti di viale Campania. «Scrivilo per cortesia, perché a quegli insegnanti sarò sempre grato». Poi il primo impiego come custode per la Locomotiva, una comunità psichiatrica gestita dalla Filo d’Arianna, una cooperativa sociale dell’orbita Caritas. Infine la specializzazione. «Ho sempre pensato che l’istruzione fosse il migliore strumento di emancipazione possibile. Proprio per poter proseguire gli studi nel ’96, quando nel mio paese è scoppiata la guerra, mi sono trasferito: in Camerun mi sono laureato in filosofia, in Kenya in teologia. Quando sono arrivato a Milano, ho capito che se volevo fare tesoro della mia esperienza e dedicarmi al lavoro sociale che è sempre stata la mia vocazione dovevo raffinare ancora le mie conoscenze e così mi sono candidato per il master in emergenza umanitaria e sviluppo all’Ispi dove ho, fortunatamente, vinto la borsa di studio che ha coperto metà delle spese», racconta.
Oggi Ghislain parla con gli ospiti che accoglie al Refettorio nelle diverse lingue africane che ha imparato viaggiando (swahili, kinyarwanda, tshiluba, lingala) e in quelle europee che ha appreso sui libri (inglese, francese, italiano, spagnolo). Si interessa alle storie di chi vive ancora ai margini e ha bisogno di aiuto. Capisce i loro problemi e cerca di orientarli. «Anche se oggi la mia vita è diversa dalla loro, anche io sono stato un migrante e so cosa significa dovere ricominciare tutto da capo in un altro Paese. Conosco la sensazione di disorientamento che si prova quando si vive in un posto diverso da quello in cui sui si è nati e si è cresciuti: è sempre un po’ come tornare bambini, non solo si deve imparare una nuova lingua, ma bisogna reimparare a stare al mondo, perché le regole, soprattutto quelle non scritte, sono diverse e a volte proprio questa mancanza di conoscenza diventa un ostacolo insormontabile che genera incomprensione, frustrazione, risentimento. Se cadi in questa trappola, rischi davvero di non uscirne più. Io penso di aiutare gli ospiti stranieri del Refettorio a capirlo e spero, proprio aiutando loro, di aiutare questo Paese a dare loro una chance, come quella che ha dato a me».
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