WHAT IS HOME: la storia di Renato

WHAT IS HOME: la storia di Renato

Oggi Renato Ferrero, 52 anni, due passaporti, uno argentino l’altro italiano, è un video-maker e regista riconosciuto. I suoi clienti sono Feltrinelli, Axa, Banca Intesa, grandi marchi dell’editoria e dell’imprenditoria. Proprio grazie alla sua duplice nazionalità, la strada per cercare la propria affermazione e trovare un ruolo nel suo nuovo Paese non è stata più complicata di quella di tanti altri italiani della sua età. «Certo, a differenza loro, quando mi sono trasferito a Milano da Buenos Aires, avevo meno informazioni, anche perché allora non c’era internet e per conoscere le opportunità che offre un luogo, ci dovevi proprio andare. Ma ho recuperato in fretta. Oggi sarebbe stato tutto più semplice e questo mi fa pensare a quanta energia e creatività disperdiamo, alzando barriere per difenderci da pericoli e rischi infintamente minori delle opportunità che una più libera circolazione delle persone potrebbe presentare. Anche se mi rendo conto che in tempi di Coronavirus questa affermazione può sembrare controcorrente», spiega.

Renato, nonno piemontese come il suo cognome lascia intendere, giunge a Milano nel ’91 a seguito del padre che accetta un incarico come ricercatore alla Facoltà di Fisica. «Avevo 24 anni, a Buenos Aires, studiavo Scienze delle comunicazioni all’Università e quando sono arrivato l’anno accademico era già iniziato. Così mi sono fermato un anno. Ma quella pausa mi ho dato il tempo necessario per migliorare il mio italiano e guardarmi attorno. In questo modo ho scoperto che a Milano esisteva una scuola di cinema con un orientamento molto pragmatico, che era proprio quello che mi interessava e che non ero riuscito a trovare in Argentina. Mi sono iscritto e quattro anni dopo ho terminato gli studi. È stato un periodo molto stimolante, ho conosciuto tante persone che sono oggi i miei amici».    

Subito dopo la specializzazione i primi lavori per agenzie pubblicitarie e la Tv. Poi il matrimonio con Anna e la nascita della figlia, che con la moglie decide di chiamare Karihna, che significa “incanto”, nella lingua degli indios argentini.

«Sono stato un migrante privilegiato. I miei stessi connazionali che sono arrivati dopo di me, agli inizi degli anni 2000 in seguito al crack economico del Paese, hanno avuto molte più difficoltà. La mia esperienza mi dice però che quando si parte, bisogna avere un progetto. La mia migrazione non riuscita non è stata quella dall’Argentina all’Italia. Ma quella da Milano a Londra, dove anche io come molti miei coetanei di allora avevo cercato di dare un svolta alla mia vita subito dopo gli studi. Non è andata bene, perché non avevano un’idea chiara e sono tonato in Italia un po’ con la coda tra le gambe».

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