WHAT IS HOME: la storia di Sensen

WHAT IS HOME: la storia di Sesen

«Mi piace pensare di essere un ponte tra due mondi: quello in cui sono nata e quello in cui ho scelto di vivere». Sesen Berhane, 32 anni, eritrea, è responsabile per il Comune di Milano dello staff di mediatori culturali ed interpreti impegnati nella gestione di programmi di accoglienza per rifugiati politici. Inoltre è coinvolta nel progetto dei corridoi umanitari sostenuto dalla Conferenza episcopale italiana, attraverso il quale negli ultimi tre anni decine di profughi presenti nei campi etiopi hanno potuto ottenere asilo in Italia e trovare rifugio proprio nel capoluogo lombardo. A pensarci ora, i suoi incarichi paiono l’esito naturale di un progetto preciso, perseguito con determinazione nel corso del tempo. Ed invece nella storia di Sesen e nella sua stessa carriera professionale c’è davvero ben poco di preordinato e scontato.

Ad Asmara Sesen ha frequentato la scuola italiana, dove un tempo andavano esclusivamente i figli e nipoti dei coloni italiani e negli anni sempre più aperta anche a bambini e ragazzi di famiglie eritree che vedevano nell’Italia un punto di riferimento.  Ha avuto insegnanti italiani e, come un qualsiasi adolescente nato nel Bel Paese ha imparato la nostra lingua studiando Dante e Manzoni («per un periodo ho pensato che la Divina Commedia fosse come una seconda Bibbia»). Tuttavia, nonostante il suo percorso di studi, arrivare in Italia, trovare un impiego e viverci è stato un percorso pieno di curve.

«Quando mi sono diplomata in ragioneria, ho dovuto assolvere all’obbligo di leva, che nel mio Paese riguarda anche le ragazze. Il training dura 6 mesi, ma quando finisci, non è possibile lasciare l’esercito. Io ho potuto chiedere il congedo ai miei superiori soltanto dopo 5 anni di servizio in vari apparati dello Stato, perché nel frattempo il governo aveva allargato un po’ le maglie. Ed è stata comunque una concessione. Se non fossi stata gentile e altrettanto decisa, non sarei ma riuscita a realizzare le mie aspirazioni», racconta.

In ogni caso abbandonare la vita militare è stato solo il primo passo lungo una strada tutta in salita. «Sapevo di voler venire in Italia e il modo per farlo, stando alle regole, era che qualche italiano mi invitasse – continua -. A venirmi in aiuto è stata la mia ex maestra delle elementari che è stata per me sempre più che un insegnante. Grazie alla lettera scritta da un suo conoscente, ho potuto ottenere il visto. Da quel momento ho dovuto soltanto, si fa per dire, convincere mio padre che era assolutamente contrario e racimolare i soldi per il biglietto aereo e le spese per il passaporto».

Il 26 marzo 2011 Sesen sbarca all’aeroporto di Malpensa. Ad attenderla c’è l’italiano che l’aveva invitata. Il tizio è gentile, affabile, la porta nella casa che le affitterà: un appartamento sui Navigli, non troppo distante dal luogo di lavoro, il ristorante di un suo amico che era pronto ad assumerla. «Ricordo che la prima cosa che mi colpì fu l’odore di pulito di quella casa. Allora mi sembrò quasi un segnale del destino: la conferma che avevo fatto bene a decidere di partire e di fidarmi», spiega.

Invece purtroppo la realtà non era come appariva. «Dopo qualche settimana capii che dietro la generosità di quel conoscente della mia ex maestra c’era dell’altro. Oggi posso riderne, ma allora avevo poco più di 20 anni, ero molto ingenua e l’attrazione fisica che quell’uomo molto più vecchio e già impegnato con un'altra donna provava per me, mi imbarazzava a tal punto che non riuscivo a parlarne con nessuno, nemmeno con quella mia vecchia insegnante che mi aveva messo in contatto con lui. Le sue intenzioni diventavano sempre più esplicite. Quello che inizialmente sembrava un corteggiamento, diventò un ricatto. E se all’inizio mi sentivo quasi in colpa per i miei rifiuti, poi presi coraggio e decisi di troncare ogni rapporto con quella persona», confida Sesen.

Seguono tanti diversi lavori, spesso in contemporanea, per riuscire a guadagnare abbastanza e potersi mantenere. Per qualche tempo, la mattina fa l’impiegata in uno studio legale, la sera la baby-sitter e nei fine settimana e il pomeriggio offre ripetizioni ai bambini delle elementari. La stress è tale che si ammala. Quando viene dimessa dall’ospedale, decide che non può ricominciare la vita di prima. «Fortunatamente trovai un annuncio di lavoro. Una cooperativa cercava un mediatore culturale e interprete di tigrino. Risposi, feci il colloquio e fui assunta. Da quel momento ho sempre ricevuto nuovi incarichi ed oggi ho un ruolo di responsabilità che non avrei mai sperato di ricoprire. È stata una lunga traversata, come Dante ho rischiato di perdere la via, ma ce l’ho fatta e oggi sono fiera di potere aiutare altri a inserirsi in questo meraviglioso Paese».       

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